La F.U.C.I., Federazione Univesitaria Cattolica Italiana, nata nel 1896 dall’unione di circoli universitari cattolici esistenti in alcune città d’Italia, è una aggregazione ecclesiale di gruppi di studenti universitari che, negli anni dello studio e della formazione, vogliono percorrere insieme un cammino di fede e di crescita culturale, vivendo un’esperienza di Chiesa nel solco della tradizione centenaria della Federazione

venerdì 26 marzo 2010

Incontro di giovedì 25 marzo

L’amore per la società e per la polis
L’esempio di GIORGIO LA PIRA


Giorgio La Pira nasce a Pozzallo, nel sud della Sicilia, il 9 gennaio 1904.Diplomatosi in ragioneria nel 1921, La Pira viene convinto dal suo insegnante di italiano, Federico Rampolla Del Tindaro, a proseguire gli studi. Consegue la maturità e si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza. Conosce monsignor Mariano Rampolla Del Tindaro, fratello di Federico, che diviene sua guida in una intensa vita spirituale.
Nel 1924, durante la Messa di Pasqua succede qualcosa che lo porta a consacrare la vita a Dio. È il giorno che i biografi indicano come data della sua conversione. La Pira dunque decide di consacrarsi a Dio: il suo desiderio però è di svolgere il suo apostolato nel mondo. In "lettera alla zia Settimia" afferma:"la finalità della mia vita è nettamente segnata: essere nel mondo il missionario del Signore: e quest'opera di apostolato va da me svolta nelle condizioni e nell'ambiente in cui il Signore mi ha posto.”
Il giovane Giorgio La Pira arriva a Firenze nel 1926, seguendo il professore con cui sta preparando la tesi in storia del Diritto Romano. Viene per laurearsi, e ci rimarrà tutta la vita. A Firenze La Pira studia, insegna, partecipa alle attività caritative della San Vicenzo de'Paoli.
Nel frattempo, rinnova l’adesione al Terz’ordine Domenicano, e sceglie come abitazione una cella nel convento di San Marco. Qui resterà fino a che la tendenza a ammalarsi di bronchite non lo costringerà a trasferirsi; ma tornerà spesso a pregare e a condividere la mensa con i frati. Il desiderio di consacrarsi a Dio lo porta anche ad essere tra i fondatori, nel 1928, dell’Istituto dei Missionari della Regalità di Cristo, voluto da padre Agostino Gemelli, un istituto secolare presso il quale prenderà i voti di povertà, obbedienza, castità.
È proprio dagli impegni di carità che nascerà la passione per La Pira per la politica che per lui è un modo più efficace per fare del bene. La Chiesa da tempo aveva capito che il crollo del regime fascista era vicino e si doveva preparare una classe politica nuova, in grado di diventare protagonista nella ricostruzione della società: il giovane La Pira occupa un ruolo importante.
La Pira partecipa agli incontri clandestini che sin dal 1940 si svolgono a Milano, nell’ambito dell’Università Cattolica, insieme a Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati, Amintore Fanfani. In quegli stessi anni, viene invitato spesso ai raduni del Movimento Laureati Cattolici e della FUCI ; quando, nel 1943, a seguito di questa intensa attività viene redatto il “Codice di Camaldoli” vero e proprio manifesto di impegno politico elaborato da intellettuali e studiosi cattolici, La Pira figura ufficialmente tra gli esperti consultati per la stesura del documento.
Nel 1939 fonda la rivista “Principi”, sulle cui pagine difende in maniera coraggiosa il valore della persona umana e la libertà e che viene soppressa dal regime fascista. Nel periodo delle persecuzioni razziali si dedica anche ad aiutare famiglie di ebrei a nascondersi nei conventi.
In questo periodo tiene corsi di dottrina sociale all’università Lateranense nei quali La Pira sottolinea l’urgenza, per i laici cristiani, di passare dalla preghiera all’impegno sociale: nasce “La nostra vocazione sociale”.
All’interno della Costituente, La Pira fece parte della prima sottocommissione, quella che scrisse i “Principi fondamentali”. Fu tra gli artefici del dialogo tra gli esponenti cattolici (tra gli altri Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati, Amintore Fanfani, Aldo Moro) e i rappresentanti di altre correnti ideologiche (i socialisti Lelio Basso e Piero Calamandrei, il comunista Palmiro Togliatti).
In Parlamento, insieme a Fanfani, Dossetti, Lazzati, compone il gruppo dei “professorini”: intransigenti nel porre come priorità assolute le questioni sociali e la lotta alla disoccupazione, sono spesso in contrasto con i vertici del governo e della Dc.
Come sottosegretario al lavoro nel primo governo De Gasperi, La Pira si trovò spesso a svolgere un difficile ruolo di mediatore in aspre battaglie, tra sindacati agguerriti, industriali non disposti a cedere e i ministri del bilancio e delle finanze poco inclini alla trattativa.
Seguendo gli economisti inglesi Keynes e Beveridge, La Pira indica, come obiettivo fondamentale dell’azione politica, la “piena occupazione”: dare lavoro a tutti non è un miraggio, ma un obiettivo possibile. La politica doveva rispondere, diceva La Pira, alle “attese della povera gente”: proprio questo è il titolo di un suo famoso articolo, che suscitò un profondo dibattito.
Nel 1951 La Pira accetta, a seguito di forti pressioni esercitate anche da autorità religiose, di fare il Capolista per la Democrazia Cristiana nelle elezioni amministrative del 10 e 11 giugno. Decisivo per l’accettazione il progetto di dare una risposta concreta e globale alle emergenze nuove della politica soprattutto dopo l’esperienza di governo che seguì quella alla Costituente. In seguito alla vittoria della coalizione quadripartita (DC, PLI, PRI, PSDI), La Pira, cui erano andate oltre 19000 preferenze, viene eletto per la prima volta Sindaco di Firenze, prendendo il posto di Mario Fabiani, che aveva guidato nei quattro anni precedenti una giunta di sinistra. La Pira trova a Firenze il terreno più adatto in cui svolgere il suo impegno politico. La città diventa il laboratorio in cui mettere in pratica le sue idee, rivolgendo il suo impegno ai problemi concreti della povera gente.
Il nodo più drammatico da sciogliere è quello emergenza casa. La Pira è preoccupato per l’aumento degli sfratti: vara un programma di edilizia pubblica (le “case minime”) e, per fronteggiare l’emergenza, chiede ad alcuni proprietari immobiliari di affittare temporaneamente al Comune una serie di appartamenti vuoti. A seguito delle risposte negative, ordina la requisisizione degli immobili .
Da sindaco, Giorgio La Pira non ha trascurato lo sviluppo industriale, commerciale, finanziario di Firenze.Tra le tante cose realizzate sotto la sua amministrazione, la Centrale del Latte, il Mercato ortofrutticolo di Novoli, la rete delle farmacie comunali, la ricostruzione dei ponti distrutti dai nazisti, il quartiere dell’Isolotto.
Ma il “pezzo” di economia fiorentina e nazionale a cui La Pira ha legato per sempre il suo nome è senza dubbio la Pignone.La Pignone si era ingrandita nel periodo bellico producendo armi. Dopo la guerra aveva tentato di riconvertirsi nel campo dei telai tessili, ma con poco successo. La società proprietaria, la Snia Viscosa, aveva già ridotto il personale: quando, nel novembre 1953, annunciò la chiusura degli stabilimenti, gli operai occupano la fabbrica e La Pira si schiera pubblicamente dalla loro parte. Non solo per difendere il diritto al lavoro ma con una chiara strategia per l’economia della città. Con gli operai, nasce l’idea di utilizzare negli impianti di estrazione del petrolio le turbine prodotte dall’azienda.
Questa, specializzandosi in questo tipo di produzione, avrebbe potuto diventare strategica per l’Eni di Mattei, che era in grande espansione grazie ai contatti (anche questi stimolati dall’azione di La Pira) con i paesi arabi.Dopo una lunga trattativa, il 9 gennaio 1954 l’accordo viene firmato e per la Pignone (diventata “Nuovo Pignone”) inizia una stagione di grande crescita. La fama di questo singolare personaggio, che i fiorentini chiamano ormai il “sindaco santo”, giunge presto anche all’estero.Per la sua attività, La Pira riceve però anche attacchi di ogni tipo. Viene accusato di fare il gioco dei comunisti; il giornale fiorentino La Nazione lo attacca quotidianamente, lo chiamaAlle elezioni comunali del 1956 La Pira, per quanto osteggiato dai poteri forti, riscuote un grande sostegno popolare.Però la nuova legge elettorale rende più instabile la maggioranza: La Pira è eletto sindaco ma dopo un anno deve lasciare la guida del Comune a un commissario prefettizio. Alle elezioni comunali, nel 1960, sarà di nuovo il più votato e guida la sua terza amministrazione, dal 1961 al 1965, sostenuto da una coalizione DC-PSDI-PSI. La costruzione di 17 nuove scuole, la sistemazione dell’acquedotto, il varo del nuovo piano regolatore, la valorizzazione dell’artigianato fiorentino e del Maggio musicale, sono i punti intorno ai quali si concentra il suo programma.Contemporaneamente si accompagna il periodo conciliare e la speranza della distensione internazionale .Alle nuove elezioni ottiene ancora un notevole successo, ma il clima politico è ormai deteriorato: in un telegramma al segretario della DC Mariano Rumor e al Primo Ministro Moro La Pira denuncia le trame con cui, nelle segreterie dei partiti e nei “salotti” cittadini, si lavora per mettere fine alla sua singolare esperienza di sindaco. In un celebre discorso pronunciato nel 1954 a Ginevra sul “valore delle città” La Pira affermò il diritto delle città a sopravvivere e quindi il dovere degli amministratori di operare per la pace.
Negli anni della guerra fredda convocò a Firenze i Convegni per la pace e la civiltà cristiana , e poi i Colloqui mediterranei. Il punto di partenza era quello della inadeguatezza della guerra a risolvere i conflitti e della inevitabilità del negoziato: l’unica strategia capace di governare l’epoca della decolonizzazione e della presa di coscienza della fondamentale comunanza di destino dei popoli In questa strategia rientrano anche i gemellaggi di cui La Pira si fece promotore, creando legami tra Firenze e le città di tutti i continenti.Andò a Mosca nel 1959, primo politico occidentale non comunista a varcare la “cortina di ferro”: un’esperienza importante che lo vide anche al Cremlino, dove non ebbe timori a sollevare il problema dell’ateismo di stato.Quello a Mosca è solo uno dei suoi tanti viaggi volti ad abbattere i muri, costruire ponti coerentemente con l’ipotesi di fondo (storica e teologica) dell’unità della famiglia umana.Uno dei più delicati fu quello in Viet Nam dal quale riportò una offerta di trattative che avrebbe potuto evitare anni di inutile sanguinosa guerra. Altri viaggi importanti li fece in Medio Oriente: non ci potrà essere pace nel mondo, diceva, finché non ci sarà pace tra cristiani, ebrei, musulmani, quella che lui chiamava la “triplice famiglia di Abramo”.
Dopo il 1965, pur non essendo più sindaco di Firenze, La Pira rimane al centro di mille contatti internazionali: come presidente della Federazione delle Città Unite viene invitato a tenere discorsi e conferenze in tutto il mondo.Si impegna attivamente per la pace e il disarmo e per la distensione in Europa.Parallelamente, si adopera all’interno della Chiesa per il dialogo ecumenico e la responsabilizzazione del laicato. E anche la politica nazionale lo chiama a nuovi impegni. La Pira è in prima linea nelle battaglie per il referendum sull’aborto e sul divorzio e difende con forza il valore della vita, della persona, della famiglia.
Nel 1976, in un clima teso in cui le prospettive di dialogo tra le forze di progresso italiane rischiano, a suo parere, di immiserirsi in puri tatticismi la Democrazia Cristiana gli chiede nuovamente di candidarsi. È eletto deputato, ma la sua salute peggiora gravemente.
Giorgio La Pira muore il 5 novembre 1977.
Il giorno dopo, la salma viene esposta in San Marco: i fiorentini si riversano in massa a salutare il “sindaco santo”, mentre da tutto il mondo arrivano personalità della politica e della cultura, uomini di ogni nazione e religione.
Il 7 novembre, i funerali: in Duomo, il cardinal Benelli afferma: “Nulla può essere capito di Giorgio La Pira se non è collocato sul piano della fede”.

Lorenzo Banducci

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